4.10.07
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riflessioni e date (entrambe mie)
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Concertini
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Igor plays
3.5.07
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12.4.07
DON CICCIO & ME
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6.4.07
Paolo Ganz dice
9.2.07
reflections in blue
news from gallo rojo
16.1.07
!Que viva Gallo!
TODO CHUECHO:
Taccuino di viaggio, manifesto della filosofia monocroma dell’autore, questo lavoro di Danilo Gallo può essere considerato il suo “Tjiuana moods”; ma, a differenza di Mingus che, grazie al bagno rigeneratore nei vizi della città bordello, del luogo di iniziazione di ogni americano, risorgette galvanizzato e vitale e in grado di produrre un’opera ricca di nuova linfa, nel suo “Gallo and the roosters” il contrabbassista e compositore foggiano trova nel Messico conferma dei suoi umori, sostanzialmente tragici.
Una passerella circense di scheletri in sombrero, l’incombenza del fato e dell’inevitabilità della morte e poi nient’altro e però l’articolarsi della mestizia in varie sfaccettature, talvolta persino allegre, anche se a denti stretti.
Ma questo cd è anche il moltiplicarsi del suono del suo strumento; bassista di derivazione hadeniana, Gallo è innamorato dei suoni passivi del suo contrabbasso. Si sente un continuo schioccare come di frusta nelle tracce; la nota è indefinita e primeggia l’alone armonico delle corde. Un suono intestinale, color ciocco bruciato.
Gallo, dicevo, distende il suo timbro per un organico abbastanza insolito, che vede al clarinetto basso Achille Succi (ex della band di Vinicio Capossela), al trombone Gherhard Gschlossl, e il fido Zeno De Rossi (attuale batterista di Capossela) ai tamburi.
Come si può intuire il timbro generale è scuro, tendente al cupo anche se con lampi; e già l’intro del brano “Kabu-l“, che apre l selezione, imposta il piano di guerra, con il trombone di Gschloss duettare con l’archetto rognoso del leader. Dopo alcuni secondi il gruppo si compatta e su un beat binario, il brano prosegue tra gli schiaffi dei piatti di De Rossi e il legnoso stridere del clarinetto di Succi. Forma chiara e semplice che si perde e si ritrova per la strada. In fondo siamo in viaggio in una terra sconosciuta e dalle molte incertezze.
“Piece froide n.1” (Erik Satie) sono l’alibi per abbozzare un ritratto in stile figurativo dello stesso autore alla scoperta delle terre nuove. Primi incerti, timidi passi. Passione per un artista come affinità. Come a dire: “In realtà l’ho scritto io!”.
La rumba “El Gallo Sanchez” è un tenero racconto delle vie messicane; una dolce festa sta terminando e la gente raccatta le ultime briciole di piacere.
Appare il primo ospite del disco, l’infida chitarra di Enrico Terragnoli, storta di Mexcal Oaxaca tra i tardivi petardi del batterista.
“Lullaby of the rattlesnakes” incede greve e malcerta in terreni pericolosi e sconosciuti, con il Rhodes di Giorgio Pacorig,sinistro organetto da horror serie z, fino ad incontrare il 9/8 e il sax di Daniele D’ Agaro.
“Mysticisme nuclèaire” vede un summit di ance: tre sax contralto, Nicola Fazzini, Achille Succi e il lacerante grido dolphiano del promettente Piero Bittolo Bon. Siamo in un armageddon scandito dai tamburini militari di De Rossi e U:T: Gandi. Per chi scrive il brano piu’ bello della raccolta, tutto chiuso nella sua inesorabilità senza soluzione.
Tom Waits, uno dei musicisti preferiti da Danilo Gallo, viene omaggiato nella cover della sua tenera “Alice”, rivisitata come fosse un’elegia funebre e aperta da Terragnoli e con il growl del trombone di Gschloss a mimare la voce del crooner pstmoderno.
Il contrabbasso apre la rivisitazione del secondo dei “Pieces froides” di Satie; dopo la circospezione del leader la cover si trasforma in una chase di fiati sopra un malsano twist dispari.
“Bugsy Siegel”, racconto delle gesta del mafioso ebreo fatto fuori da Lucky Luciano sarebbe un bel tema, tra i migliori scritti da Gallo: dico sarebbe perché questo arrangiamento, sebbene ottimamente eseguito, sa troppo di “Masada”.
Un'altra nazione, un altro clima: “Udine”. Il mesto ritorno a casa (in provincia di Udine, a Cavalicco, si trovano gli studi dove è stato registrato questo cd); l’autore tira le somme dei fasti messicani per riscoprire che alla fine, dei falò rimane solo la cenere. L’andamento è quello del blues, inevitabilmente fino ad una improvvisa cantabilità di stampo ellingtoniano. Tracce di allegria, trattenute, quasi vincenti al rush finale.
13.1.07
copioincollo e son d accordo
di Alessandro Rimassa
“Adesso fanno arrivare i rumeni, poi voglion dare i nostri bambini ai gay e magari anche ai trans... ma dove andremo a finire, signora mia?”
Nella frase che ho riportato c’è una giusta domanda: dove andremo a finire? Quelle parole sono uscite dalla bocca di una signora sui 65 anni, accento vagamente del nord, che l’altra mattina camminava con un’amica per una via del centro di Milano. Le due se la prendevano con Prodi e con il Governo ladro, immaginando un futuro disastroso e disastrato per il nostro bel paese. Tutte le colpe, ad ascoltar loro, sono dell’attuale Governo: che permette ai rumeni di entrare indisturbati in Italia, che sta per fare una legge sulle adozioni gay, che magari darà i bambini anche ai trans.
Tutte cose false, ovviamente. Non è il Governo che fa entrare i rumeni in Italia, è che la Romania, ora, fa parte dell’Unione europea. Non c’è, allo stato attuale, nessun disegno di legge né proposta sulle adozioni gay. Nessuno, quindi, sta pensando di far adottare i bambini ai transessuali.
La signora si chiedeva “Dove andremo a finire?”, e la domanda è più che legittima: con tutto questo qualunquismo, dove andremo a finire?
La colpa, certo, non va attribuita alla signora di cui sopra. Sono i nostri dirigenti e politici che, sui giornali e soprattutto in televisione, rimbambiscono la gente con dichiarazioni terroristiche, populiste e qualunquiste. Non c’è, nei nostri politici, onestà intellettuale, per tirar l’acqua al proprio mulino si infarciscono i propri discorsi di notizie volutamente false e tendenziose. Sui Pacs si dice no e si invita la gente a ribellarsi, “... perché altrimenti i nostri bambini verranno affidati solo a coppie omosessuali!”. Sono queste frasi a effetto, questo populismo becero, a influenzare le masse e, di conseguenza, a rovinare l’Italia.
Sono queste le cose da combattere, sono questi i piccoli mali che, sommati l’uno all’altro, fanno di questo Paese un grande malato. Se dalla signora di 65 anni non possiamo aspettarci comportamenti che segnino la svolta, certo dai più giovani dobbiamo pretenderli: e motore di questa silenziosa ma costante e speriamo efficace ribellione, dobbiamo essere noi trentenni.